Dimensioni del cervello connesse ad abilità cognitive nei carnivori

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 30 gennaio 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il rapporto di proporzione diretta fra le dimensioni dell’encefalo e le abilità cognitive, sia in valore assoluto sia commisurato alla taglia corporea dell’animale, è considerato da molti ricercatori alla stregua di ipotesi erronee del passato, quali la localizzazione di facoltà psichiche in “organi cerebrali” secondo l’organologia e la frenologia del XIX secolo. L’argomento, dopo verifiche accurate con gli strumenti di indagine più avanzata, è stato effettivamente accantonato, soprattutto dai ricercatori che studiano l’intelligenza umana, come si è notato di recente: “Per effetto di tali studi, il criterio del rapporto di proporzionalità diretta delle facoltà cognitive con il volume del cervello dei mammiferi è stato archiviato, specificamente per il riscontro di una rilevante incoerenza: le scimmie e i grandi primati antropomorfi, uomo incluso, sebbene siano considerati i mammiferi più intelligenti non hanno, né in senso assoluto né relativo, il cervello più grande”[1].

Se, sulla base di tali considerazioni, l’incidenza delle dimensioni encefaliche nell’uomo e in altri primati non è più all’ordine del giorno nella ricerca che indaga le basi neurobiologiche delle abilità cognitive, non è così per quanto riguarda lo studio di altri mammiferi. A lungo, in questo settore di studi, sono stati raccolti dati a favore di una maggiore intelligenza nelle specie con un cervello grande in relazione alle dimensioni complessive del corpo. Tuttavia, a dispetto di decadi di indagini, l’idea che la taglia dell’encefalo consenta di prevedere le abilità cognitive rimane altamente controversa anche in queste specie; in particolare, si può osservare che esiste un supporto sperimentale minimo per l’esistenza di un rapporto fra la capacità di risolvere nuovi problemi e il volume del cervello rispetto alla taglia complessiva.

Sarah Benson-Amram e colleghi hanno studiato le prestazioni di 140 animali appartenenti a 39 specie di mammiferi carnivori in un compito consistente nella soluzione di un problema non conosciuto, ed hanno rilevato, in contrasto con quanto accertato dalla ricerca sui primati, che le dimensioni del cervello della specie in rapporto alla taglia corporea consentivano di prevedere l’esito della prova sperimentale (Benson-Amram S., et al., Brain size predicts problem-solving ability in mammalian carnivores. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1505913113, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Zoology and Physiology, and Program in Ecology, University of Wyoming, Laramie, WY (USA); Department of Psychology, Department of Ecology and Evolutionary Biology, University of Michigan, Ann Arbor, MI (USA); Department of Integrative Biology, Ecology, Evolutionary Biology and Behavior, Michigan State University, East Lansing, MI (USA); Department of Ecology, Evolution, and Behavior, University of Minnesota, Twin Cities, St. Paul, MN (USA).

Nella ricerca animale, nonostante il considerevole interesse per la definizione delle forze naturali che danno forma al rapporto fra le dimensioni cerebrali e le abilità cognitive, rimane controverso se gli animali con i cervelli più grandi siano migliori solutori di problemi di quelli con minore volume della principale struttura del sistema nervoso centrale.

Recentemente, vari studi comparativi hanno rilevato correlazioni fra dimensioni encefaliche e tratti che si considera richiedano sviluppate abilità cognitive, quali: innovazione, flessibilità comportamentale, successo nell’invasione ed auto-controllo. Aspre critiche in editoriali scientifici e su riviste specializzate nei temi dell’elaborazione teorica nelle scienze sperimentali, hanno condannato l’assunto che associa animali con più cervello a migliori prestazioni cognitive, soprattutto a causa della mancanza di un supporto sperimentale ampio, affidabile e dal valore condiviso, che giustifichi tale assunzione. Per tale motivo, Benson-Amram e colleghi hanno concepito un esperimento per verificare se specifiche misure neuroanatomiche o socioecologiche fossero in grado di prevedere il successo nel risolvere un nuovo problema tecnico fra le specie di mammiferi appartenenti all’ordine dei Carnivori. Perché sia presente lo spettro di animali considerati dallo studio qui recensito, ricordiamo la tradizionale ripartizione dell’ordine dei Carnivori nelle seguenti famiglie: Felidi, Canidi, Ienidi, Ursidi, Pinnipedi, Mustelidi, Viverridi, Procionidi e Ailuridi.

È opportuno osservare che, fino ai tempi recenti in cui si è sviluppato lo studio neuroscientifico del cervello e del comportamento, la nostra specie ha avuto difficoltà nel valutare in modo rigoroso ed oggettivo quest’ordine di animali, sia per posizioni antropologiche ataviche, quali quella di competitori attivi o potenziali o quella di vittima o preda, sia per elaborazioni culturali del timore che molte specie e varietà incutono. Secondo alcune teorie evoluzionistiche, la prima organizzazione in gruppi degli Ominidi protoumani si realizzò come risposta strategica di coalizione contro gli attacchi delle fiere di quell’epoca.

In chiave evoluzionistica, l’origine dei Carnivori è stata oggetto di studio, elaborazione, dibattito e controversie per decenni. A lungo si è accettata l’ipotesi di Simpson, che includeva i  Carnivori nella coorte dei Ferungulati, costituita da animali apparentemente antitetici, quali i Condilartri, progenitori degli Ungulati, e i Creodonti – letteralmente: denti da carne – dai quali sarebbero derivati i Carnivori. Alla luce di studi successivi, tale ipotesi è stata definitivamente abbandonata. Attualmente i Miacoidei, sebbene fossero ancora abbastanza vicini agli insettivori, per la struttura del cranio e per una formula dentaria prossima a quella degli attuali predatori che si cibano di carne, si ritiene che siano stati i veri progenitori dei Carnivori. I primi fossili, risalenti a circa 40 milioni di anni fa (Paleocene superiore), presentavano un encefalo sviluppato, ossa radiali con inizio di fusione, corpo snello, coda lunga, zampe brevi con piedi pentadattili e locomozione plantigrada[2].

La denominazione di quest’ordine dei mammiferi non deve essere intesa alla lettera, ossia come la definizione di qualsiasi animale che si nutra di carne[3], ma si attribuisce ad un ordine di mammiferi predatori, che per la propria sopravvivenza si nutre del corpo di altri animali, mediante comportamenti, azioni e funzioni per le quali è altamente specializzato.

A proposito del rapporto fra dimensioni del cervello e taglia o stazza corporea, si ricorda che i Carnivori coprono uno spettro di dimensioni straordinariamente esteso, che va dai 40 grammi di peso di una donnola ai 3600 Kg di alcuni Pinnipedi (elefanti marini).

Torniamo, ora, allo studio qui recensito.

I ricercatori hanno impiegato 140 esemplari di 39 specie di animali carnivori appartenenti a nove famiglie, ospitati in vari e differenti zoo del Nord America, ai quali hanno offerto delle puzzle boxes, rese attraenti dal cibo e realizzate in scala adatta alla taglia dell’animale. Il compito sperimentale richiedeva l’apertura della scatola: le specie con le dimensioni cerebrali maggiori, rispetto alla massa corporea, hanno fatto registrare le prestazioni migliori nell’aprire le scatole.

Benson-Amram e colleghi hanno approfondito lo studio in un sottoinsieme di specie, impiegando endocalchi virtuali del cervello per misurare il volume di 4 grandi regioni cerebrali. Quando nel computo venivano inserite alcune di queste regioni, insieme con i parametri di dimensione cerebrale e massa corporea, si aveva un miglioramento del modello di previsione del successo nell’apertura delle scatole.

Le variabili socioecologiche, inclusa la misura della complessità sociale e della destrezza manuale, fallivano nella previsione dei successi degli animali nell’esecuzione del compito sperimentale.

In conclusione, si può osservare che i dati emersi dallo studio non supportano l’ipotesi del cosiddetto “cervello sociale”, mentre forniscono elementi sperimentali a sostegno della significatività della dimensione del cervello, almeno per quanto riguarda le specie dei mammiferi carnivori, per un’abilità come quella di risolvere un problema tecnico non familiare.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-30 gennaio 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 16-01-16 Fattori neuronici correlati ad elevata intelligenza.

[2] Questi tratti morfologici, che ritroviamo immutati in alcuni mammiferi arboricoli attuali, fanno supporre che i progenitori degli attuali predatori che si cibano quasi esclusivamente di carne abitassero le foreste e fossero buoni arrampicatori.

[3] Se questo fosse il criterio, anche la mantide religiosa, ossia un insetto che si nutre di carne, potrebbe appartenervi. La struttura del cranio, con i caratteristici adattamenti dell’apparato masticatorio, costituisce un carattere distintivo, insieme con la formula dentaria: 3/3, 1/1, 4/4, 3/3 (tre incisivi, un canino, quattro premolari e tre molari, per ciascuna arcata).